venerdì 23 aprile 2010

CASSAZIONE: NO LICENZIAMENTO IN TRONCO PER CHI INSULTA IL CAPO

Non puo' essere licenziato in tronco il dipendente che ingiuria e minaccia il capo. La Cassazione ha infatti confermato l'illegittimita' del licenziamento disposto nei confronti di un uomo che aveva insultato il proprio superiore ed era stato immediatamente cacciato dalla ditta in cui prestava servizio. Nonostante l'uomo fosse stato condannato in sede penale, il giudice del lavoro - il tribunale di Pescara prima e la Corte d'appello de L'Aquila poi - non aveva ravvisato la sussistenza della giusta causa che legittimava l'immediata cessazione del rapporto ed aveva annullato il provvedimento disposto dall'azienda nei confronti del dipendente, in quanto non era stata espletata la procedura di contestazione prevista dallo Statuto dei lavoratori. Anche la Suprema Corte (sezione lavoro, sentenza n.9422) ha condiviso la tesi dei giudici del merito e rigettato il ricorso del titolare dell'azienda che aveva licenziato il dipendente: "e' giurisprudenza consolidata che il licenziamento motivato da una condotta colposa o comunque manchevole del lavoratore, indipendentemente dalla sua inclusione o meno tra le misure disciplinari della specifica disciplina del rapporto, deve essere considerato di natura disciplinare - si legge nella sentenza - e, quindi, deve essere assoggettato alle garanzie dettate in favore del lavoratore dal secondo e terzo comma dell'articolo 7 della legge n.300 del 1970 circa la contestazione dell'addebito ed il diritto di difesa". Dunque, "a nulla rileva, ovviamente, che il comportamento del dipendente sia stato ritenuto reato dal giudice penale - conclude la Cassazione - atteso che tale evenienza, se vale a qualificarne l'illiceita', non esclude che al lavoratore incolpato debba essere contestato l'accaduto onde consentirgli di dare le giustificazioni che egli assume rilevanti nell'ambito del rapporto di lavoro".

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